La Grande Bellezza

2014

 

Sorrentino ha studiato con profitto il grande cinema italiano, e parlo di Fellini (la Dolce vita, ma anche Satyricon e Casanova), parlo di Visconti (e spiegherò perché), ho poi visto pezzi di cinema italiano (Riso amaro di De Santis) e non so quanti altri che, per mia ignoranza, sono nascosti tra le immagini e le sequenze di questo straordinario film.

I tempi sono lenti, la narrazione procede con il tempo della memoria, del discorso interiore e non con quello della realtà: salti liberi, associazioni spaziali e temporali (che solo chi ha digerito ore di cinema può collegare a un vissuto collettivo). L’osservatore disilluso, integrato ma non ideologizzato, è Jep Gambardella (Toni Servillo) alla ricerca, più o meno conscia, di un qualche significato in quel mondo che è, allo stesso tempo, in disfacimento e dotato di immortali opere d’arte, corrotto fin nel midollo e affascinante.

Ho visto un affresco del nostro tempo fatto di chirurgia estetica, ricerca della vita eterna o della felicità, corruzione, pieno di personaggi grotteschi, droga in quanità industriale, dove tutto è mercificato, sesso sfrenato e, tra una cosa e l’altra, il senso di una grandezza (passata ormai o a tratti sfiorita) e l’imponenza delle opere d’arte dell’antica Roma o del Rinascimento. La grande bellezza sembra essere l’unica cosa capace di redimere questo mondo assurdo e privo di significato. La Grande bellezza che è nascosta tra la prosaicità quotidiana del bla, bla, bla (come recita il finale), fino a che sopraggiunge la morte. Non tutti riescono a vedere tra il bla, bla, bla i tratti di bellezza, Jep ha cercato per tutta la vita la grande bellezza, senza trovarla: ecco perché non è più uno scrittore. La sua sterilità è la condizione dell’assenza di bellezza nella vita, dell’assenza d’arte, dell’assenza dell’amore.

Ho citato Visconti perché mi sembra che Sorrentino si sia cimentato in qualcosa che solo (per quel che ne so) i grandi del cinema italiano sono stati capaci di rappresentare. I maestri del cinema americano ci hanno raccontato storie (e continueranno a farlo). In Morte a Venezia, Visconti ci ha raccontato una condizione umana, quello che io definisco uno stato emozionale. Prima di vedere Visconti non sapevo nemmeno che questo fosse possibile. Ma si può fare un film su uno stato emozionale? Come fai a esprimere – senza l’aiuto delle parole – col solo mezzo del linguaggio visuale, dell’inquadratura, della sequenza, degli sguardi, della dissolvenza, una emozione?Sorrentino, secondo me, appartiene a questa categoria di cineasti capaci di tenerci incollati allo schermo (qualcuno dirà che è una palla pazzesca, ma loro hanno difficoltà a scorgere qualsiasi tipo di bellezza) non per seguire una storia (il suo non è un intreccio sequenziale) ma per trasmettere emozioni, senza fare discorsi (verbali).

Il finale è degno d’una commedia shakespeariana: tutto è finzione, un trucco. Se vi abbiamo fatto divertire, ne siamo felici; se vi abbiamo offeso siate indulgenti e fate finta che sia stato tutto un sogno.

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